sabato 31 marzo 2018

Dinamiche di gioco: il gruppo e l'immaginario condiviso

Avete mai avuto la sensazione che al tavolo da gioco ciascuno facesse il cavolo che gli pare, a prescindere dagli altri? Ho questa sensazione in questo momento.
Non lo dico in qualità di master, ma in qualità di giocatore: nella campagna che stiamo attualmente giocando (a D&D 5a edizione) avverto dei problemi di... comunicazione? Coerenza? Più che in altre occasioni, intendo.
Butto giù due riflessioni.

Essere un gruppo

Nei gdr tradizionali – D&D soprattutto – i personaggi formano una compagnia, un party. A prescindere dalle singole motivazioni dei PG, e anche a prescindere dalla logica esterna (spesso debole, a volte inesistente) che li tiene insieme, è un fatto che essi si muovono (più o meno) come un gruppo. Ma sono effettivamente un gruppo? A volte no; a volte ciascuno agisce per i fatti propri (esattamente come succede in certi gruppi di lavoro, con la differenza che gli avventurieri non avrebbero un datore di lavoro che li costringe a stare assieme).
Che si crei o non si crei effettivamente il gruppo dipende da tanti fattori: la personalità dei giocatori (più o meno individualisti), il livello di immersività (ne parlerò tra poco), la difficoltà dell'avventura. Eh già, perché nella campagna che abbiamo giocato prima di questa, a Labyrinth Lord, cioè Vecchia Scuola, in cui c'era veramente il rischio di tirare le cuoia per un'azione azzardata, il gruppo si muoveva molto più all'unisono!

Immersività e immaginario condiviso

Personalmente sono il tipo che anche in un gioco da tavolo fantasy vuole sapere i nomi dei personaggi degli altri giocatori; per me il colore è importante. In particolar modo lo ritengo importante in un gdr; perciò credo sia fondamentale che si crei un vero immaginario condiviso, cioè che tutti, attorno al tavolo, si immaginino (più o meno) la stessa cosa.
Per fare un paio di esempi di ciò che non mi piace: nell'ultima sessione che abbiamo giocato un mio compagno ha affermato di prendersi dal bottino un mantello... dopo che io avevo già detto che lo indossavo! Poi un bardo ha effettuato un rituale magico che tutti si sono immaginati in maniera diversa: chi pensava a un circolo magico tracciato per terra, chi a una sonata, chi a un ballo tribale, chi a polli sgozzati... Il punto è che solo io e un'altra giocatrice eravamo interessati al fatto che ci si accordasse per un'immagine unica; per tutti gli altri si trattava un dettaglio irrilevante. Purtroppo (per come la vedo io) ciò che conta per gli altri giocatori, in questa avventura, sono invece i numeri, le meccaniche di gioco da un punto di vista matematico.
Capite? Sto parlando di qualcosa che va oltre il "fare del buon gdr", il recitare di cui parlavo nel precedente articolo (pratica che sicuramente favorisce il creare un immaginario condiviso, ma che a mio avviso non è indispensabile a questo scopo).
Penso che:
  • un sistema di gioco più semplice (tipo Labyrinth Lord) distragga di meno i giocatori "amanti dei numeri";
  • il master possa essere più o meno abile (e interessato) a favorire la creazione di un immaginario condiviso (compatibilmente con il materiale umano a sua disposizione);
  • un sistema di gioco più coerente di D&D (cioè un new wave) possa indirizzare i giocatori più in questo senso.

Però c'è anche un altro fattore da considerare: il numero di giocatori. Noi siamo in cinque, in questo momento; cinque teste anche molto diverse e con diverse prime donne (tra cui io) che, ciascuno a modo proprio, vogliono stare sotto i riflettori. E in cinque, lo spazio sotto i riflettori comincia a essere risicato! Perciò si inizia a non ascoltarsi più tanto l'un l'altro, ed è un peccato. Certo se ne potrebbe parlare più esplicitamente, si potrebbe dare il buon esempio, ma ci sono anche da rompere equilibri sociali, regole implicite... Comunicazione, gestione di un gruppo, dinamiche sociali: certo che il nostro è proprio un hobby psicologicamente complicato, non trovate?

P.S.
Una mia compagna di gioco (nonché mia compagna) mi fa notare che un altro elemento da tenere in considerazione è il fatto che il master ci sta viziando con mille mappe, gadget, segnalini personalizzati, musiche di sottofondo che se da un lato favoriscono l'immersività, dall'altro fanno sì che i giocatori interessati ai numeri si adagino dentro un'interpretazione più esteriore e poco personale.
Forse in questo caso non sarebbe male ripristinare la vecchia pratica del premiare il buon gdr con dei PX.

mercoledì 28 marzo 2018

Maschere

Tendiamo a interpretare sempre lo stesso PG, avete notato? Per mia esperienza la maggior parte dei giocatori di ruolo interpreta solo variazioni sul tema dello stesso identico personaggio. Il mio, ad esempio, è una sorta di ramingo tuttofare che agisce da solo.
Spesso si tratta di una trasposizione di noi stessi, oppure è quello che vorremmo essere. Cavallereschi, psicopatici, geni del male, altezzosi, brillanti, indipendenti, misteriosi, saggi, amabili, liberi, strategici: ci sono sempre uno o due tratti che immancabilmente accomunano tutti i PG che abbiamo interpretato nella nostra carriera di giocatori.
Non sempre sono tratti che ci mettiamo volontariamente: talvolta sono caratteristiche che "ci escono", nostro malgrado. Giocare un genio del male, ad esempio, non è semplice; quand'anche ci piaccia interpretare quel ruolo, è facile che venga fuori più che altro la caricatura di un genio del male, non è vero?
Per quanto mi riguarda, ad esempio, i miei PG hanno sempre un tratto di buffoneria che non vorrei metterci, ma che salta fuori ogni volta che mi annoio; e hanno anche un tratto di spocchia che non vorrei metterci, ma che – facendo parte di me – spesso salta fuori.

Avete mai provato a interpretare un personaggio diverso dal solito? Anche lì, per mia esperienza, ciascuno di noi va a pescare sempre tra gli stessi stereotipi. Raramente sperimentiamo in cerca di qualcosa di nuovo che ci diverta (raramente ne abbiamo l'occasione, visti i tempi di gioco!).
Il mio "secondo PG", ad esempio, è un fuorilegge maleducato e arrogante; e nonostante l'arroganza sia un tratto che mi esce bene, è difficile reggere più di un paio d'ore nei panni di un PG "che non sei tu". Giocare davvero "calati nella parte" è faticoso.

A tutti piace sognare, ma a pochi piace recitare.


Torno a pensare ai gdr new wave e al modello GNS. Ho già scritto in passato che, a mio avviso, per giocare (ma soprattutto per masterizzare!) taluni gdr narrativi bisogna essere brillanti. Oggi rifletto sul fatto che per giocare con intenti simulazionisti bisogna essere spigliati e metterci impegno; e sicuramente bisogna avere tutti lo stesso intento creativo al tavolo da gioco, ancor più che per un gdr narrativo. Per questi motivi è così difficile trovare gruppi che davvero e sempre "facciano del buon gdr".
I MUD favorivano, in questo senso; il fatto di non avere fisicamente davanti a te i tuoi amici permetteva una maggiore immersione nel mondo fantastico. Probabilmente anche perché scrivere davanti a uno schermo inibisce meno che parlare davanti a delle persone.
Giocare in modalità Zilch Play o con intento gamista è senza dubbio più semplice e rilassante (perciò D&D è ancora il gioco più diffuso tra i bimbiminkia ah ah).

Niente, non è che io voglia andare a parare da qualche parte, sono solo riflessioni che mi passavano per la testa e che volevo infilare nella mia "faretra". Qualunque sia il vostro intento creativo, vi auguro di trovare le persone e le modalità con cui riuscire a realizzarlo e divertirvi!

P.S.
Potrebbe essere divertente, anche se non so né come né con che sistema di gioco, far creare ai giocatori tre o quattro PG e poi chiedergli di interpretare l'ultima scelta, che ne dite?