lunedì 18 novembre 2013

Giocare a D&D


Ho trascorso gli ultimi tre anni a giocare col d20 system, in qualità di Game Master, dopo oltre un decennio che non toccavo un manuale di gioco. È stato un vero e proprio ritorno di fiamma! Ho cercato di realizzare tutti i miei sogni di ragazzo: far vivere grandi avventure ai personaggi, dar loro massima libertà, eccetera eccetera. Bhe, il risultato è stato un po’ deludente (e infatti quest’anno non abbiamo ancora ripreso a giocare a D&D).

Contemporaneamente, grazie soprattutto al forum Gente Che Gioca, mi sono avvicinato ai gdr New Wave (che gli utenti di quel forum aborriscono chiamare così, ma che secondo me è molto pratico. Che poi sia un termine inesatto, privo di significato e chi più ne ha più ne metta, posso essere anche d’accordo. Ma è pratico). In tal modo ho accresciuto moltissimo la mia conoscenza dei giochi di ruolo e ora credo di poter tirare qualche conclusione.

Un gdr è una conversazione, tra master e giocatori. Il compito del master è rispondere cose interessanti alle affermazioni dei giocatori. Come riuscirci dipende dal gioco nello specifico. Perché andando “a braccia” è facile che ne esca una partita deludente, per tutti.

Prendiamo Non Cedere Al Sonno, ad esempio, di cui ho già masterizzato tre sessioni quest’anno (con un gruppo diverso dal mio abituale). Nell’articolo precedente avevo tirato giù alcune linee guida da seguire che mi si sono rivelate utili, ma che, a posteriori, comprendo non essere completamente corrette (appena avrò tempo editerò l’articolo per incorporare i frutti della mia esperienza pratica). In effetti la storia delle “mosse” l’avevo presa da Il Mondo Dell’Apocalisse; ho appurato, però, che mal si adatta a NCAS. Meglio invece utilizzare la tecnica dei “Bang”. Ma di questo parlerò nella riedizione dell’altro articolo, adesso voglio parlare di D&D.

Come ho appurato a mie spese, il sogno di “far vivere grandi avventure ai personaggi, concedendo loro la massima libertà” è un’utopia. No, rimanendo aderenti alla realtà, ci sono due o tre modi (che possono rivelarsi soddisfacenti) per giocare a D&D.

Il Manuale del Dungeon Master, edizione 3.0 (pagg. 97-98), fa una divisione tra avventure localizzate e avventure ad eventi.

Per preparare un’avventura localizzata il master deve disegnare un dungeon, o la mappa di un’area ristretta, in cui si muoveranno i personaggi. Dopodiché assegna loro una missione (che questi devono accettare) e il gioco è fatto. Si può complicare questa struttura in mille modi, ad esempio inserendo più di un dungeon all’interno di una grande mappa della regione, o delle sotto-quest, e rendere il tutto più appetitoso con zone nascoste, aree ed eventi “sbloccabili”, scelte difficili che portano a conclusioni differenti, cacce al tesoro, ma il succo della faccenda rimane lo stesso.

Sfogliando in rete ottimi blog della “vecchia scuola”, come Terre Tormentate, Caponata Meccanica e Le Cronache del Gatto sul Fuoco, viene spesso citata la modalità “sandbox”.
La sandbox, ovvero un'aiuola di sabbia piena di giocattoli.
In pratica la sandbox è un’area (grande e dettagliata) del tipo di cui sopra, ma dove i personaggi non sono vincolati a una missione in particolare, per cui possono esprimersi più liberamente e magari fare anche cose diverse dal “cercare avventure”. Senza etichettarla così, è la struttura che ho cercato di realizzare per le mie avventure fin dall’inizio, con pessimi risultati.

Tanto per cominciare realizzare una sandbox col d20 system è un lavoro inumano, a livello di tempo. Il blogger di Terre Tormentate ci riesce perché lo fa con un retroclone, forse. L’alternativa sarebbe abbozzarla e poi improvvisare gli incontri al volo, ma non riesce mai bene (per trovarsi a risolvere un incontro a spanne, allora tanto vale utilizzare un motore di gioco meno dettagliato). Oppure sapere a memoria tutti i manuali, non lo so.

Certo, una sandbox ben fatta, ammesso che sia possibile, permetterebbe di mettere in pratica con soddisfazione un sacco di house rules interessanti relative alla vita “non da avventuriero”, come quella sui bagordi in taverna, sulle ricerche degli incantesimi, sulla reputazione, e di sviluppare tutta una parte di storia “comune” su cui normalmente si soprassiede a D&D, ma c’è un problema.

Il problema è che il regolamento di D&D non ti supporta in tutto questo. Già bisognerebbe aggiungere ulteriori house rules per gestire le ricompense e magari utilizzare l’E6 per dare una parvenza di verosimiglianza al mondo immaginario, ma poi risulterebbe comunque un’esperienza insoddisfacente, al di fuori delle avventure. Non avrà mai il sapore di un MUD in cui puoi goderti anche la vita da raccoglitore e artigiano: mancano sia le premesse tecniche (il Game Master non è un computer) sia l’atmosfera di contorno. Sulla base delle mie esperienze coi New Wave affermo che per giocare un’esperienza di questo tipo (insomma, diversa dall’adventure path) serve un regolamento completamente diverso e focalizzato allo scopo.

Il mio personaggio storico, a The Gate MUD, era un elfo fabbro.
L’altro tipo di struttura per avventure individuata nel Manuale del Dungeon Master è quella a eventi, cioè quella “con una storia da seguire” (spesso citata come rail-blazing o, più dispregiativamente, rail-roading). Tale struttura viene suddivisa, sempre nel manuale, in due sottotipi: diagramma di flusso e linea temporale.

Il diagramma di flusso è come un librogame: ai personaggi vengono presentate delle scelte, sul loro cammino, con cui possono influenzare il corso di una storia comunque già scritta. È facile che i giocatori prendano una strada inaspettata, di tanto in tanto, e in quei frangenti il master deve improvvisare per riportare la storia sui binari. Oppure riscriverla, o abbandonarla del tutto.

Qualcuno mi ha detto che basta improvvisare tutto e il problema non si pone più. Bhe, peccato che il risultato faccia schifo, il più delle volte (nessuno di noi è Tolkien). Nei New Wave si improvvisa la storia, ma non a caso, bensì seguendo delle regole narrative che ti supportano; tali regole sono perlopiù inapplicabili a D&D (per svariati motivi che si comprendono solo giocando). E poi rimane il problema che mappe e incontri te li devi preparare lo stesso.

Con la linea temporale il master si prepara solo una serie di scene principali (in successione temporale, appunto) e lascia vuoti gli spazi tra esse, che verranno riempiti con altre scene improvvisate durante la partita. Il risultato non è molto diverso da un diagramma di flusso, anzi, forse questa modalità è ancora più “sui binari”, visto che con il diagramma, a sbattersi, il master può inventarsi più storie possibili, mentre qua no. Forse questa modalità è quella che richiede meno preparazione: è sufficiente, infatti, prepararsi tali scene (e magari avere sottomano un po’ di tabelle e mostri pronti all’uso). Ma è anche quella meno soddisfacente, secondo me.

Certo, contaminazioni sono senza dubbio possibili, e forse auspicabili, tra le modalità di gioco finora esposte. Rimane però il problema della grande preparazione richiesta al master; che in teoria sarebbe anch’essa un divertimento (come costruirsi il mazzo di Magic) se solo il regolamento di D&D fosse scritto decentemente! Per mia esperienza creare un’avventura per D&D, attualmente, è come cercare di fare una costruzione coi Lego avendo a disposizione pezzi che non si incastrano, che non ci acchiappano l’uno con l’altro e sparpagliati disordinatamente per tutta la stanza. Perciò i master di tutti i tempi han sempre cercato di mettere ordine e di limare le regole in modo da renderle più performanti. Spesso arrivando alla conclusione che è meglio ripartire completamente da capo e scrivere un proprio regolamento.

Anch’io ci ho provato, ovviamente, realizzando opere di cui sono anche fiero, ma non soddisfatto. Perché la domanda fondamentale che uno non si pone finché non prova i New Wave è: “cosa dovrà fare questo gioco?”. Insomma, con i gdr tradizionali si è sempre giocato in due soli modi (anzi, con D&D si è sempre giocato in due soli modi; con quelli che una volta venivano chiamati gdr narrativi, come Vampiri, ad esempio, si giocava unicamente a eventi), e così uno manco se lo chiedeva qual’era la finalità di uno specifico gioco.

La finalità di D&D è, palesemente, accrescere la potenza del proprio personaggio attraverso una serie di battaglie e imprese. È evidente. A cosa servono le regole di D&D, se non a questo? E se si gioca con una finalità diversa da questa, a cosa servono tutte quelle regole sul combattimento, se non a intralciarti? La “storia”, poi, è una bella impalcatura, che ci deve essere (a meno di non voler giocare a una versione senza tabellone di Heroquest, com’era il primo D&D degli anni 70), ma rimane solo e unicamente un’impalcatura, una cornice. Nei manuali della 4a edizione, questo viene apertamente detto. Peccato solo che le regole della quarta edizione lo abbiano reso talmente simile a un videogioco da impedire qualsiasi sospensione dell’incredulità, qualsiasi possibilità di immedesimazione nel personaggio.

La mia edizione preferita è Pathfinder. Non è performante come vorrei, ma personalmente non riuscirei mai a realizzare qualcosa di altrettanto complesso e accattivante. E visto che anche solo driftarlo sarebbe un lavoraccio (ho provato a fare anche quello), sono arrivato alla conclusione che la cosa migliore sia schematizzarlo. Ordinare i mattoncini del Lego. Magari fare qualche limatura così insignificante da non doverla neppure spiegare ai giocatori.

In futuro posterò i miei “mattoncini”, su cui sto lavorando, e che spero che possano aiutare anche altri a ritrovare il gusto nel creare avventure. Per il momento mi limito a fare alcune considerazioni che ritengo importanti e ad enunciare il procedimento con cui, idealmente, creerei un’avventura da zero.

D&D – Considerazioni preliminari:
  1. Ogni giocatore deve essere responsabile del proprio personaggio. Il master non può dover essere costretto a sapere come funzionano le tue capacità, i tuoi talenti e i tuoi incantesimi, devi saperlo tu! Se questo requisito non è soddisfatto, meglio giocare a un retroclone, non alla 3a edizione.
  2. Quattro personaggi è il numero perfetto. Tanti più giocatori sono seduti al tavolo, tanto più la partita andrà a rilento e sarà noiosa. Fidati.
  3. Che sia ben chiaro a tutti a cosa si sta giocando: esplorazione, sandbox, rail-blazing? Devo cercare gli agganci narrativi per la scena successiva? Devo aver paura di trovarmi di fronte a un pericolo che al mio livello non posso affrontare? Che peso ha il fatto che io faccia le “domande giuste” durante la produzione della fiction? Ritengo sia importante chiarire questo punto, prima di cominciare.
  4. In che genere di mondo si muovono i PG? Due parole sull’ambientazione, sulla diffusione della magia, sui grandi tesori e sulla scalata al potere supereroico aiutano a creare un immaginario condiviso di miglior qualità.
D&D – Creare un’avventura da zero:
  1. butta giù le premesse (punti 3 e 4 dell’elenco precedente);
  2. scrivi il rail-blazing, le quest, gli elementi della caccia al tesoro, quel che è il nocciolo della tua avventura;
  3. abbozza mappe e incontri principali, genericamente. Per far questo consulta il Manuale di Gioco1 a pagg. 426-427 e tieni d’occhio la tab. 12-2 mentre estrai dai bestiari gli avversari più idonei e appetibili per i PG. Una lista di PNG da utilizzare come nemici, se ti servisse, si trova nel Manuale del Dungeon Master 3.0, alle pagg. 49/57;
  4. definisci le mappe e gli incontri nello specifico, aggiungi trappole e porte chiuse (indispensabili per caratterizzare il ruolo del ladro);
  5. somma tutti i tesori e gli xp derivanti da ogni incontro, ridistribuiscili nell’avventura in modo da premiare non solo le vittorie in battaglia, ma anche il completamento delle quest, le gesta eroiche (in senso ampio) e la scoperta di eventuali segreti (informazioni importanti, tesori nascosti).
Per un approfondimento su trappole, porte e distribuzione dei tesori vi rimando a post successivi.

D&D – Elementi che rendono un’avventura interessante (dal Manuale del DM 3.0, pagg. 99-100, Manuale del DM 4, cap. 4-5, e dalla mia esperienza): scelte difficili, colpi di scena, incontri di combattimento diversificati (attacco, difesa, ecc), incontri che sfruttano le capacità dei PG, sfide di abilità (trappole diaboliche, inseguimenti, ecc), enigmi, interpretazione, teatralità, investigazione, nemici ricorrenti, risse in taverna, birra.

(1)    I riferimenti alle pagine sono relativi alla seconda edizione (ottobre 2010) pubblicata dalla Wyrd.

4 commenti:

  1. ti ringrazio per i complimenti che fanno sempre piacere. Sono d'accordo con le tue conclusioni. sia pathfinder, sia la 4ed non funzionano bene con il gioco sandbox perchè nascono per funzionare con l'adventure path come impostazione. si possono modificare per giocarli sandbox ma è un lavoraccio dal punto di vista tecnico e non so quanto possa valerne la pena. io stesso non faccio un sandbox puro ma mischio alcune tecniche "indie" tipo i fronti di Dungeon world con tecniche "old school". Visto che utilizzi pathfinder secondo me l'impostazione a diagramma è quello più adatto. al massimo potresti inserire alcune tecniche sandbox ma saranno comunque di contorno...

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  2. Hey, ma allora c'è qualcuno che legge questo blog! Grazie a te per il commento. :)

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  3. Ho appena scoperto questo blog! Molti spunti e riflessioni interessanti in questo articolo, mi hai (quasi) convinto a scrivere la "mini guida al sandbox" cui penso da un po' di tempo :D

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    1. Però! A questo punto manca che commenti Mauro Longo e poi ho fatto l'amplein! Grazie del commento e... aspetto la tua guida ;)

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