C'era una volta è composto da tre tipi di carte: gli elementi narrativi, le interruzioni e i finali. Ad ogni giocatore viene assegnato un finale e distribuita una mano di carte dal mazzo comune degli elementi narrativi e delle interruzioni. Tutte le carte rimangono coperte. A quel punto un giocatore comincia a narrare una storia di stampo favolesco: "C'era una volta...". Il suo obiettivo è infilare nella storia tutti gli elementi narrativi in suo possesso, calandone la carta man mano che li nomina, fino ad arrivare al finale della storia che gli è stato assegnato. Se durante la narrazione nomina un elemento in possesso di un altro giocatore, questi può calare la carta e prendere le redini della storia, continuando la narrazione da dove era stata interrotta. Oppure, un altro modo per prendere il potere narrativo è di usare una carta interruzione. Oppure il narratore può decidere di sua spontanea volontà di passare la mano, il che gli permette di sostituire una delle carte in proprio possesso che magari proprio non riesce a utilizzare.
Avrò giocato una decina di volte, negli ultimi anni, a C'era una volta, e spesso ne sono uscite partite divertenti. Il problema principale che ho riscontrato è far capire ai nuovi giocatori che gli elementi narrativi che inseriscono devono avere un peso nella storia. L'esempio che faccio sempre è che non si può calare la carta della strega semplicemente raccontando: "...e il protagonista passò davanti alla capanna della strega, e tirò dritto!". No: se si butta la carta strega, la strega deve avere un peso narrativo. Da ciò consegue un altro problema: l'abitudine a inserire a forza elementi che poco c'entrano con quello che stiamo raccontando, il che porta poi ad abbandonare per strada tali elementi, dando alla narrazione un senso di incoerenza profondo. Raramente gli altri giocatori, me compreso, stanno a fare i pignoli in tali frangenti, anche perché, giustamente, si andrebbe a rovinare l'atmosfera ludica. Però quando la storia comincia ad avere tanti risvolti da non sapere più dove andare a parare, a me un poco sale la noia. Il segreto di una partita divertente, per quanto possa sembrar strano, è non giocare per vincere, bensì per raccontare.
Si, oscuro signore bypassa tale problema allo stesso modo di tutti i giochi di ruolo tradizionali: con l'arbitro di gioco! :)
SOS comprende tre tipi di carte: gli spunti, gli scaricabarile e le occhiatacce. Un giocatore interpreta la parte di Rigor Mortis, il signore del male delle terre perdute di Kragmortha (famoso personaggio ideato da Riccardo Crosa); gli altri giocatori interpretano i vili e inetti goblin al suo servizio. I servitori tornano dal padrone dopo aver fallito l'ennesima missione affidata loro e tentano di giustificarsi ai suoi occhi addossandosi l'un l'altro la responsabilità del fallimento. La partita inizia col Rigor che esordisce chiedendo spiegazioni, e così facendo spiega implicitamente in cosa consisteva la missione. Dopo aver giocato un po' di volte, tipicamente la fantasia dei giocatori si sbizzarrisce a questo proposito! Ricordo una volta, ad esempio, che una mia amica, interpretato un Rigor molto fru fru, aveva mandato i goblin a comprargli una borsa di Vuitton...
Anche qui, come in C'era una volta, i giocatori devono inventarsi una storia, stavolta finalizzata a giustificare la propria inettitudine, inserendoci dentro gli spunti narrativi e calando man mano le carte in proprio possesso. Contrariamente a C'era una volta, però, devono cercare di liberarsi al più presto dello scettro narrativo, utilizzando le carte scaricabarile nel momento in cui riescono a far cadere la colpa su qualcun'altro, il quale a quel punto è costretto a proseguire la narrazione. Guai, dunque, a rimanere senza carte!
La narrazione, a SOS, è volutamente più caotica rispetto a C'era una volta. Gli altri giocatori, infatti, possono intervenire a proprio piacimento per contestare o precisare, e lo stesso Signore del Male, che in pratica è l'arbitro di gioco, può interrompere e chiedere spiegazioni a chiunque quando più gli aggrada. Il che è uno spasso, e ha il vantaggio di scoraggiare i giocatori dal dire grosse castronerie. In effetti, per certi versi, lo scopo del gioco è proprio cercare di cogliere in fallo i giocatori; il signore del male, infatti, dispone delle carte occhiataccia, che può lanciare a chi ritiene opportuno, durante la storia, per qualsiasi motivo: per punire un goblin balbettante, per zittire una balla plateale o semplicemente perché un giocatore è stato messo in scacco da tutti gli altri. Il primo che arriva a collezionare tre occhiatacce viene ritenuto colpevole.
Da regolamento il colpevole designato ha diritto a un'ultima chance, stavolta non per cercare di giustificarsi, ma per implorare pietà. Se ci riesce (cioè se riesce a far divertire gli altri), l'ultima occhiataccia viene ritirata e la partita prosegue. Tuttavia, nella mia esperienza, questo non è mai successo. Anzi, si tratta di una parte del gioco che non ho mai visto particolarmente apprezzata.
Abbiamo fatto due partite a C'era una volta, questo Natale. La prima è stata piuttosto breve e insoddisfacente, ma la seconda è stata molto divertente. Questo perché, come dicevo, nella seconda abbiamo giocato per raccontare, più che per vincere (sebbene, sul finale, qualcuno si sia fatto comunque prendere la mano). Si è trattato di un modello di narrazione più collaborazionista, al contrario di quello offerto da SOS, basato più sulla competizione e sull'arbitrio dell'arbitro. Non dico che un modello sia meglio dell'altro, anzi ritengo che ciascuno abbia i suoi pregi, ma, bhe, per la notte di Natale ho preferito così! ;-)
P.S. Sapete che esiste un gioco di ruolo, intitolato La mia vita col padrone, in cui i giocatori interpretano seriamente, e non comicamente, i servi di uno spietato tiranno? Mi sono ripromesso di provarlo, prima o poi!
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