venerdì 5 giugno 2015

Modi di giocare

Stavo pensando alle storie che raccontiamo tramite i giochi di ruolo; precisamente al modo che abbiamo di raccontarle. Credo che ogni gruppo abbia il suo modo peculiare di giocare e raccontare; per questo motivo se un completo neofita vi chiedesse cos’è un gioco di ruolo, scommetto che ciascuno di voi darebbe una definizione differente.

Ieri sera questa domanda mi è stata fatta da un’amica, che però aveva già assistito a una partita in passato (di persone che non conosco). In verità la sua è stata una domanda abbastanza inusuale, perché accompagnata dalla seguente considerazione: “Non capisco come faccia a essere così famoso [riferito a D&D] e perché venga chiamato ‘gioco’. A me sembra più una fiaba interattiva”. Ci tengo a precisare che non l’ha detto con scherno, ma proprio nel significato letterale delle sue parole: come è possibile che una cosa tanto semplice come una favola interattiva, che qualsiasi nonna è in grado di raccontare, abbia riscosso tanto successo al punto da essere commercializzata come ‘gioco’?

Da quel che ho capito, la partita a cui la mia amica ha assistito era gestita da un master molto “narratore”, di quelli con cui ti augureresti di giocare a Il Richiamo di Cthulhu. Un rail-roader da paura, se mi passate il bonario sarcasmo. Tuttavia anche un’esperienza ludica di quel tipo, che personalmente non apprezzo in maniera particolare (forse anche perché non ho mai incontrato 'sti master narratori con gli stracazzi), rientra nel ‘giocare di ruolo’, e potrebbe risultare appagante, dopotutto. Senza poi addentrarci nella disamina di uno stile di gioco (quello appena descritto) ad alto rischio di disfunzionalità, vogliamo semplicemente parlare della differenza tra uno stile hack’n slash e uno narrativo/new wave? Come spiegare a un neofita, in poche parole, che ci sono diversi modi di giocare di ruolo? Io le ho risposto esattamente così: che ci sono tanti modi di giocare, ma che la definizione ‘favola interattiva’ è tra quelle calzanti per descrivere l’esperienza.

Addirittura un altro mio amico le ha risposto che giocare di ruolo è fondamentalmente un sistema per poter sparare cazzate insieme; più o meno esilaranti a seconda delle persone sedute al tavolo. Definizione, questa, che i puristi etichetterebbero negativamente come Zichi Play, ma che, per mia esperienza, non solo rientra anch’essa nell’universo del giocare di ruolo, ma può essere anch’essa molto divertente (e parlo per esperienza).

Questo dialogo avuto ieri sera (piuttosto breve, in verità), mi porta oggi a fare due riflessioni.

La prima ruota appunto attorno alla definizione di ‘favola interattiva’, che se non ricordo male andava abbastanza di moda negli anni 90, ma che poi, essendo rimasta associata al narrativismo/rail-roading dei giochi della White Wolf, è stata abbandonata. La mia amica, raccontandomi della partita a cui aveva assistito, è riuscita a trasmettermi una suggestione alquanto positiva. Mi ha raccontato di un’atmosfera orrorifica e carica di tensione, di corvi che in realtà erano persone morte, di una lingua arcana e sconosciuta perfettamente credibile, di mani scheletriche ritrovate sul fondo di un pozzo. Mi ha fatto venir voglia di cercare un master narratore con gli stracazzi e provare quel genere di esperienza.

Scartabellando nel mio hard disk, oggi, mi è capitata tra le mani una mini-avventura per D&D proprio di quel tipo (rail-roading schietto potenzialmente carico di patos). Si intitola “Il Tempo del Ritorno”; non so chi ne sia l’autore. Ci sono anche i corvi, nella trama!! Magari ne farò una conversione per Pathfinder, prossimamente (mettiamolo in lista, tra i mille progetti che ho in mente di realizzare). E lo infilerò nella categoria ‘favola interattiva’, che si aggiunge, assieme al gioco di tipo investigativo di cui ho parlato nel post precedente, ai 100 modi di preparare un’avventura, di cui parlavo l’anno scorso.

La seconda riflessione riguarda sempre i diversi stili di gioco, ma stavolta non nel senso di “preparazione a monte”, quanto proprio di “stile & approccio”. Sto parlando, in pratica, di quanto descritto nel sottocapitolo Dungeon Master, alle pagine 12 e 13 del Manuale del Dungeon Master di D&D, quarta edizione. Riguardando quel capitoletto mi sono chiesto qual è lo stile con cui io masterizzo. Vediamo un po’:
  • Crudo vs Cinematografico = se per crudo si intende ‘realistico’, direi che ho uno stile cinematografico, con descrizioni gore alla Kill Bill e salti mortali in stile ‘film di Hong Kong’
  • Fantasy medievale vs Anacronistico = anacronistico, sicuramente (anche perché non sono così ferrato di cultura medievale); senza finire negli eccessi di film come “Hansel & Gretel cacciatori di streghe”, però!
  • Ridicolo vs Serio = ridicolo, mio malgrado; tuttavia non credo che questo possa essere definito uno “stile del DM”, quanto piuttosto uno “stile del gruppo di gioco”; quando gioco col mio gruppo nerd, infatti, sono meno ridicolo che quando gioco col gruppo dei non nerd
  • Spensierato vs Teso = dipende, ma i momenti di tensione, quando i PG rischiano la pellaccia, ci sono eccome!
  • Audace vs Prudente = non capisco bene cosa si intenda, ma raramente ho paura di infilarmi in situazioni problematiche (a rischio Total Party Kill, per intenderci) quando masterizzo
  • Pianificato vs Improvvisato = dipende da a cosa sto giocando, ovviamente: sono in grado di spaziare senza problema tra i due stili
  • Generico vs Tematico = a me piacerebbe fare campagne tematiche, ma al di fuori di piccole avventure circoscritte, finisco sempre per spaziare tra i generi
  • Moralmente ambiguo vs Eroico = c’è un solo giocatore, nel mio gruppo B, a cui piacerebbe giocare in stile eroico; con tutti gli altri sarebbe una causa persa anche solo provarci!
Sempre nello stesso sottocapitolo viene poi trattata la distinzione tra due tipi di gioco: campagna o avventure singole. Volendo ampliare questa distinzione “strutturale” ad altri giochi oltre D&D, potremmo parlare di avventure singole concatenate e di avventure singole autoconclusive.

Le avventure singole autoconclusive, alla fine delle quali, cioè, abbandoni i personaggi, secondo me rendono bene solo con i giochi new wave. Trovo che un’avventura di questo tipo abbia senso unicamente se storia e personaggi sono strettamente legati tra loro; al contrario una storia che può essere vissuta da un qualsiasi gruppo di avventurieri, bhe, che senso ha se poi, alla partita successiva, dovrai cambiare personaggio? So che esistono diversi moduli-avventura tradizionali, principalmente studiati per i tornei, in cui si usano personaggi pregenerati i cui background personali sono vagamente collegati alla trama che si andrà a giocare, ma mi sembra di aver capito che lì lo scopo, più che narrare una storia, sia quello di raggiungere un certo numero di traguardi. Mai provati. Però, ora che ci penso, può essere anche quello un modo di giocare di ruolo… Ok, lo aggiungo alla lista!

Le campagne sono quelle preferite dalla maggior parte dei giocatori, credo. Si svolgono in un mondo ben definito, o quantomeno in una parte di mondo, che tipicamente viene svelato a poco a poco. Generalmente necessitano di una bella preparazione, da parte del GM! Per fortuna che esistono le campagne pronte all’uso, in commercio.

Le avventure singole concatenate sono le mie preferite, lo ammetto. Sia perché ti permettono di interrompere quando vuoi e riprendere in seguito senza grossi problemi, sia perché ti permettono di spaziare tra i generi quando ti sei rotto le scatole della solita minestra, sia perché ti permettono di far entrare e/o uscire personaggi senza doverti inventare qualche artificio narrativo che risulta regolarmente artefatto. Volendo non necessitano neppure di un’ambientazione particolare (anche se io sono un fan della mappe da riempire, alla Trollbabe). Ah, e poi hanno anche il vantaggio che puoi coinvolgere i giocatori nella scelta della trama, offrendo loro delle sinossi, come ho fatto io l’anno scorso col mio gruppo B.


Bene, che altro dire? Il mio momento di evasione, scrivendo questo articolo, l’ho avuto anche oggi… Ci sentiamo alla prossima!


EDIT: prosegue qui.

giovedì 4 giugno 2015

Qualche riflessione su Pathfinder

Come ogni appassionato di giochi di ruolo della vecchia guardia (che probabilmente è l’unica guardia esistente) – o meglio: come ogni master della vecchia guardia! – ho sempre cercato, tramite house rules, drift e creazioni ex novo, di ottenere l’essenza del gdr, quello definitivo, quello che, finalmente, avrebbe appagato le mie aspettative. In metafora, tutti abbiamo cercato Shangri-La, ma Shangri-La non esiste, è solo un mito.

Nell’ultimo decennio il mondo dei gdr ha fatto, a mio avviso, un salto in avanti, con l’arrivo dei giochi new wave. Ma il fascino dei tradizionali, come dicevo in altri post, è rimasto, per molti, tra cui me.

Parlando di tradizionali, i due sistemi che maggiormente mi affascinano, ora come ora, sono Savage Worlds e Pathfinder (o meglio, il d20 system). Quando ho scoperto Savage Worlds mi sono detto: “cazzo, ecco finalmente un sistema divertente e giocabile! Basta con i manualoni alti tre dita e infarciti di algoritmi!”. Il primo dei due gruppi di giocatori a cui masterizzo (“gruppo A”, o “gruppo dei non-nerd”) lo ha apprezzato a sua volta, e ci siamo divertiti con esso l’anno passato. Poi, però, ho avuto occasione di riprovare Pathfinder con il “gruppo B” (o “gruppo nerd”), utilizzando una campagna preconfezionata (“Alba dei Re”), e lì c’è stata la rivelazione: anche Pathfinder è giocabilissimo!

Il punto, ovviamente, è che Pathfinder è un gioco per appassionati, per gente che conosce le regole e non ha alcun problema a gestire il proprio personaggio in autonomia, senza dover interpellare il master ogni due per tre. Il punto è che il master stesso se lo deve essere studiato il sistema (ma questo, in verità, anche con Savage Worlds; semplicemente Pathfinder ha una mole di regole superiore). Il punto è che avere una campagna già pronta – e ben fatta, non come i moduli di avventura degli anni 80(*) – è quasi fondamentale. Questi sono i punti focali, a mio avviso, per poter apprezzare veramente un gioco come Pathfinder.

Poi, naturalmente, le conoscenze apportate dall’avvento dei gdr new wave sono state fondamentali per godersi appieno l’esperienza ludica. Ho fatto giocare il gruppo B a Non Cedere al Sonno, a Polaris e ad altri per scrostarli dalla mentalità derivante da una vita passata a giocare a Vampiri; alla fine siamo diventati tutti più consapevoli di cosa poteva offrirci l’esperienza di un gdr tradizionale e ce lo siamo goduti molto di più.

Sto abbandonando l’idea di driftare e rimaneggiare, in cerca della mitica Shangri-La. Credo proprio che quello che stavo cercando sia già qui: bisogna solo capire come usarlo.

Detto questo, voglio parlare di un aspetto dei tradizionali – ma in particolare di D&D/Pathfinder – che forse non viene sempre compreso dai giocatori, ma che ogni master conosce benissimo: la soddisfazione del creare mondi! Si tratta di un aspetto che nei new wave praticamente non esiste, e che un sistema come Pathfinder appaga appieno, con i suoi manuali alti tre dita.

Chiunque tenga un blog sui giochi di ruolo, come questo, sa benissimo di cosa sto parlando. È come la passione per i modellini, solo che invece di assemblare un veliero con assicelle di legno e colla, a noi piace assemblare un mondo fantastico con immaginazione e inchiostro (o meglio bit, al giorno d’oggi). Che poi questi mondi vengano utilizzati per giocare oppure no, bhe, non è fondamentale (anche se può dare soddisfazione ed essere un incentivo a scrivere); il modellino del veliero, una volta finito, rimane su un mobile per essere ammirato, mica lo si mette in acqua, no?


Avendo la fortuna di avere una casa grande, mi sono allestito uno spazio con scrivania, computer portatile, stampante, cancelleria, una sedia comoda e una libreria piena di manuali: uno spazio dove dedicarmi al mio “hobby” ogni volta che ho bisogno di evasione. Avere ben chiaro cosa ci piace e cosa si sta facendo migliora la vita, non trovate?

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(*) In verità non è che i moduli degli anni 80 fossero necessariamente malfatti, è che spesso erano sbilanciati, o più esattamente seguivano una differente filosofia. Ci sono molti articoli sulla “Vecchia Scuola” in rete (digitate “OSR” su google); se non sapete nulla in proposito vi consiglio di andarvene a leggere qualcuno, sono interessanti. Più aspetti conosciamo del nostro hobby, più ci divertiremo con esso!